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Donne mie

Donne mie 

Tramonti di Sotto, Novembre 2018

 

Nell’autunno del 2018 ho avuto l’opportunità di realizzare una scultura tessile, insieme alla mia amica Barbara Girardi.

Siamo state coinvolte da Patrizia Bertoncello, allora Assessore alla Cultura del Comune di Tramonti di Sotto (PN), un piccolo paesino incastonato tra le pre Alpi pordenonesi.

La richiesta era piuttosto precisa: un’opera d’arte che rappresentasse una figura angelica, ma che richiamasse anche le agàne, figure mitologiche legate all’acqua. Inoltre l’opera sarebbe stata dedicata alle donne nella ricorrenza della Giornata contro la violenza sulle donne.

Barbara ed io ci siamo ispirate alla forma di una statuina neolitica in terracotta dipinta, proveniente dall’Egitto predinastico – periodo Naqada II (3500-3400 a.C. circa), conosciuta come “la Dea del Nilo” o “la danzatrice del Nilo” e conservata al Brooklyn Museum. La figura rappresenta una sorta di danzatrice preistorica con le braccia alzate sopra la testa, il suo corpo è snello con fianchi larghi. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che i suoi arti aggraziati elevati sopra la testa emulino le corna della dea Hathor, la quale era la personificazione delle gioie della danza, della musica, dell’amore e della vita stessa. Abbiamo osservato che il volto indefinito e appuntino ricorda quasi un becco e così per associazione le braccia aperte, su cui si intravedono anche i segni delle dita, possono richiamare a un paio d’ali.

Ci è sembrata la soluzione più adatta per dare corpo alla nostra scultura.

Io mi sono occupata di realizzare lo scheletro in fil di ferro e di intrecciare busto volto e braccia. Barbara ha intrecciato una sorta di bustino, incorporando all’interno elementi metallici (scarti di stampi) e ha realizzato trecce e cordame per dare forma alla parte inferiore della statua. Abbiamo utilizzando vecchie lenzuola, tessuti di scarto, filati di vario genere, di colore bianco, panna, grigio, rosa.

Abbiamo immaginato una grande figura femminile sospesa nell’aria, possente e leggera, compassionevole e fiera di portare sulla propria pelle di stracci, le tracce degli strappi e delle riparazioni, delle ferite e delle cicatrici di tante donne. Nella trama della sua pelle-tessuto scorrono le parole della poesia di Dacia Maraini “Donne mie”. Questo per noi è diventato il titolo dell’opera.

Donne mie

Donne mie che siete pigre,

angosciate, impaurite,

sappiate che se volete diventare persone

e non oggetti, dovete fare subito una guerra

dolorosa e gioiosa, non contro gli uomini,

ma contro voi stesse che vi cavate gli occhi

con le dita per non vedere le ingiustizie

che vi fanno. Una guerra grandiosa contro chi

vi considera delle nemiche, delle rivali,

degli oggetti altrui; contro chi vi ingiuria

tutti i giorni senza neanche saperlo,

contro chi vi tradisce senza volerlo,

contro l’idolo donna che vi guarda seducente

da una cornice di rose sfatte ogni mattina

e vi fa mutilate e perse prima ancora di nascere,

scintillanti di collane, ma prive di braccia,

di gambe, di bocca, di cuore,

possedendo per bagaglio

solo un amore teso, lungo, abbacinato e doveroso

(il dovere di amare vi fa odiare l’amore, lo so)

un amore senza scelte, istintivo e brutale.

Da questo amore appiccicoso e celeste

dobbiamo uscire

donne mie,

stringendoci fra noi per solidarietà

di intenti, libere infine di essere noi

intere, forti, sicure, donne senza paure.

Donne mie dalle dita che puzzano di aglio,

donne mie dalle vene varicose, gli occhi

feroci, le mani insolenti, la bocca timida,

vi hanno insegnato a essere cretine, povere,

dipendenti, vi hanno insegnato a dire

sempre di sì, con astuzia degradante, con

candore massacrante, con vigore represso.

Vi hanno insegnato a lavorare, a ubbidire,

a tacere, a figliare, con gioia e purezza

senza acrimonia, per servire, aiutare,

sostenere, consolare l’uomo, sempre lui

nella sua smagliante illusione razzista.

Donne di marmo, di pece, di latte cagliato,

voi lavorate ogni giorno senza stipendio

per i figli, il marito, i cugini, i nipoti,

i fratelli, i nonni, i padroni tutti

che vi vogliono belle e pure come oggetti sociali.

Se dite no vi sembra di fare peccato,

per questo dite sempre di sì, con l’animo

sciolto e la testa piena di fumo amaro,

dire di sì e in cambio ricevere un bacio

di buonanotte dal caro figlio del cuore

su una guancia rugosa che sa di lardo e di acqua sporca

Donne mie illudenti e illuse che frequentate

le università liberali, imparate latino,

greco, storia, matematica, filosofia;

nessuno però vi insegna ad essere orgogliose,

sicure, feroci, impavide. A che vi serve

la storia se vi insegna che il soggetto

unto e bisunto dall’ olio di Dio è l’uomo

e la donna è l’oggetto passivo di tutti

i tempi? A che vi serve il latino e il greco

se poi piantate tutto in asso per andare

a servire quell’ unico marito adorato

che ha bisogno di voi come una mamma?

Donne mie impaurite di apparire poco

femminili, subendo le minacce ricattatorie

dei vostri uomini, donne che rifuggite

da ogni rivendicazione per fiacchezza

di cuore e stoltezza ereditaria e bontà

candida e onesta. Preferirei morire

piuttosto che chiedere a voce alta i vostri

diritti calpestati mille volte sotto le scarpe.

Donne mie che siete pigre, angosciate, impaurite,

sappiate che se volete diventare persone

e non oggetti, dovete fare subito una guerra

dolorosa e gioiosa, non contro gli uomini, ma

contro voi stesse che vi cavate gli occhi

con le dita per non vedere le ingiustizie

che vi fanno. Una guerra grandiosa contro chi

vi considera delle nemiche, delle rivali,

degli oggetti altrui; contro chi vi ingiuria

tutti i giorni senza neanche saperlo,

contro chi vi tradisce senza volerlo,

contro l’idolo donna che vi guarda seducente

da una cornice di rose sfatte ogni mattina

e vi fa mutilate e perse prima ancora di nascere,

scintillanti di collane, ma prive di braccia,

di gambe, di bocca, di cuore, possedendo per bagaglio

solo un amore teso, lungo, abbacinato e doveroso

(il dovere di amare ti fa odiare l’amore, lo so)

un’ amore senza scelte, istintivo e brutale.

Da questo amore appiccicoso e celeste dobbiamo uscire

donne mie, stringendoci fra noi per solidarietà

di intenti, libere infine di essere noi

intere, forti, sicure, donne senza paura.

Dacia Maraini

Da “Donne mie” – 1974

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